LO SCULTORE
Le magie di legno di Fabio Castelli

Si disseccano, profumando, le bucce d’arance sulla stufa mentre il crepitio del camino accompagna la conversazione in un accogliente salotto di una vissuta casa di campagna. «Il legno, devo dire, mi ha sempre molto affascinato: l’idea di un materiale vivo, cioè che vive e muore». Ed il fuoco nel camino, a questo punto, facendosi rammemoratore della Grande Fine, evidenzia le prime parole di Fabio Castelli, scultore per vocazione, nato a Varese nel 1953, vive e lavora a Besozzo, da sempre appassionato d’arte: «Da quando ero piccolo ho sempre armeggiato. Sono passato dall’acquerello all’olio; prima dipingevo, potrei anche riprendere. Anche se la scultura mi ha sempre appassionato, la passione si è intensificata una quindicina d’anni fa quando un mio amico mi ha regalato una cosa curiosa, uno strumento meraviglioso: una sega giapponese, una sega, cioè, che, per la particolare disposizione dei denti, taglia in una sola direzione, consentendo dei tagli praticamente già perfetti». Questo strumento, che si affianca chiaramente a quelli classici come la sgorbia e lo scalpello, dà la possibilità allo scultore di lavorare sulle dimensioni piccole, ridotte e raffinate dei suoi ultimi lavori (i Paesaggi, le Isole, e i Sensibili). «Ho lavorato anche il marmo, ma il legno è meglio: il marmo…» qualche istante di silenzio, poi, dopo uno sguardo al camino, «insomma, è più freddo; mentre il legno assomiglia più a noi esseri umani». Fabio Castelli è un artista che si è formato da sé, interessandosi d’arte e facendola. Sicuramente curiosità intellettuale e vicinanza a quegli oggetti custodi di cultura per antonomasia, i libri, appagate dall’aver lavorato, con incarichi non secondari, prima presso grandi ed importanti case editrici, poi come librario presso sue proprie librerie hanno contribuito e indirizzato la sua formazione da autodidatta. Quali sono le fonti del suo immaginario visivo? Quali gli artisti che più ha amato e che ha studiato più da vicino? Gli chiedo, cercando di avvicinarmi maggiormente al Castelli scultore che, se proprio deve avere l’etichetta di artista, preferisce che ad applicargliela siano coloro che vedono e apprezzano i suoi lavori. «L’arte è sempre stata la mia passione e, anche se non l’ho studiata accademicamente, l’ho sempre frequentata. Bruno Munari è uno dei miei amori e la sua estetica, soprattutto da un punto di vista intellettivo, mi appartiene molto: quell’idea della semplicità e del recupero, la sento molto mia. Poi, siamo onesti, nessuno inventa niente. Ognuno di noi si porta dietro le immagini che ha immagazzinato: a me piace moltissimo Cézanne, ma amo molto anche le grotte di Lascaux…». Legno (il prediletto) e marmo - si diceva -, ma anche ferro e carta i materiali con cui Castelli si confronta perché, a lui, i materiali piacciono tutti. Sappiamo che ogni materiale - e non ogni tipologia di materiale ma proprio ogni singola porzione di quella specifica materia, soprattutto se naturale - si veste di peculiari configurazioni, si oppone o asseconda alla propria maniera le sollecitazioni di chi lo impiega; e poi porta con sé peculiari significati culturali, acquisiti nel corso del tempo per lunga tradizione d’uso, per convivenza con l’homo faber. E allora incalzo: ma a lei cosa interessa dei materiali? «È una bella domanda: direi che m’interessa capire come reagiscono ai miei interventi. E il legno… il piacere fisico del legno». Comunque sia, - ed ciò che in definitiva conta - Castelli realizza piccoli capolavori, figurativi o aniconici poco importa, che traspirano piacere del fare e un’armonia minuta non disgiunta da una sincera carica etica.
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