PENSATOIO
La sfida dell’Italia: «Aumentare la produttività»
L’analisi di Valerio De Molli (Teha) per far ripartire il Paese. Il privato appare sempre più performante del settore pubblico
Analizzare il passato, con le sue criticità, per portare il cuore oltre l’ostacolo e ipotizzare un futuro di crescita. Un compito su cui gli esperti di Teha (The European House - Ambrosetti) si concentrano ogni giorno, incrociando dati, analisi, summit con menti illuminate che sanno guardare lontano. Uno dei temi centrali è la produttività del sistema Paese.
L’Italia si trova ad affrontare una sfida economica di lungo corso: un calo della produttività che persiste da oltre vent’anni e che limita la competitività del Paese nel contesto globale. Dall’altro lato, l’Unione Europea di fronte alla sfida internazionale e al cambiamento degli assetti strategici globali arranca. Questo è il quadro emerso dall’analisi presentata dal Ceo, il varesino Valerio De Molli, proprio nel corso dell’ultimo Forum di Cernobbio, che evidenzia le criticità e le azioni necessarie per rilanciare la produttività italiana e la politica industriale europea.
Dal 2000 a oggi, l’Italia ha registrato una crescita della produttività significativamente inferiore rispetto agli altri Paesi europei. Questo ritardo ha influito negativamente sulla capacità del Paese di proiettarsi sui mercati internazionali. In particolare, la scarsa performance del settore pubblico rappresenta uno dei principali ostacoli, mentre l’industria e i servizi hanno mostrato segni di ripresa a partire dal 2015. La bassa produttività ha così contribuito alla mancata crescita dei salari. A differenza di quanto osservato in altri Paesi europei, gli stipendi in Italia sono infatti rimasti sostanzialmente invariati nell’ultimo ventennio, con effetti negativi sul potere d'acquisto e sulle dinamiche economiche interne.
Per quanto riguarda le imprese italiane, in tutte le classi dimensionali si scontano livelli di produttività inferiori rispetto ai principali Paesi europei. Nel 2022, il Valore Aggiunto per addetto nelle imprese italiane era significativamente inferiore rispetto a quello di Germania e Francia, sia nelle micro (€43.900 Italia, 77.800 Germania e € 51.550 Francia), sia nelle piccole (€57.000 Italia, €77.000 Germania e €83.600 Francia) sia nelle medie (€76.400 Italia, €92.200 Germania e €111.900 Francia) e grandi imprese (€91.400 Italia, €120.700 Germania e €120.600 Francia). Questo deficit rappresenta un freno considerevole allo sviluppo economico del Paese, poiché un aumento di produttività significherebbe un aumento di Pil.
La dimensione delle imprese è un fattore determinante per l’incremento della produttività. Imprese più grandi hanno maggiore accesso a risorse finanziarie, tecnologie avanzate e mercati globali e una superiore capacità di investimento, tutti elementi cruciali per sostenere la crescita economica. Tuttavia, l’Italia è caratterizzata da una predominanza di micro, piccole e medie imprese (Pmi) - le prime, in particolare, costituiscono il 95% del totale - che spesso mancano della capacità di espandersi e competere su scala internazionale. Per questo motivo, è essenziale promuoverne la crescita dimensionale. Questo obiettivo può essere raggiunto attraverso lo stimolo ai processi di aggregazione, che permetterebbero alle piccole imprese di unirsi per beneficiare di economie di scala e aumentare la loro competitività. Inoltre, un maggiore ricorso ai mercati di Borsa è fondamentale per facilitare l’accesso ai capitali necessari per sostenere l’innovazione e la crescita.
Nonostante l’urgenza di migliorare l’accesso ai capitali, il mercato di Borsa italiano è infatti attualmente sottodimensionato rispetto ai principali competitor europei. Nel 2023, la capitalizzazione di mercato in Italia rappresentava solo il 36,5% del Pil, un valore significativamente inferiore al 71,3% del Regno Unito e al 127,8% della Francia. Oltre alle sfide interne, l’Italia in qualità di Paese Membro dell’Ue si trova di fronte ad alcune sfide globali. L’Europa, infatti ha visto dimezzarsi in trent’anni il suo peso sull’economia mondiale. Dal 1992 al 2022, la quota della Ue sul Pil mondiale è scesa dal 28,7% al 16,6%. Questo declino ha una natura complessa. Da un lato pesa la incompleta realizzazione del Mercato Unico in settori chiave come l’energia, i trasporti e la finanza. Dall’altro l’eccessiva concentrazione sulla concorrenza interna ha distolto lo sguardo e le energie da ciò che succedeva a livello globale. Se si aggiunge a questo una governance complessa e l’assenza di un vero e proprio sentimento europeo dei suoi cittadini (il partito degli astenuti è il primo partito in Europa), ecco spiegato il perché.
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