ARTE
Niki de Saint Phalle: le monumentali nanas felici e colorate
In mostra 110 opere, lavori su carta, video e vestiti di Dior

Sculture di donne dalle forme accentuate all’inverosimile, che ricordano quelle delle Veneri paleolitiche, o dell’arte dell’Africa Nera e del Centro America, coloratissime e dall’intento ribelle e liberatorio. Le Nanas sono considerate la firma di Niki de Saint Phalle, pseudonimo di Catherine-Marie-Agnès Fal de Saint Phalle (1930-2002), nata in Francia a Neuilly-sur-Seine, figlia di un ricco banchiere francese e di un’artista americana. Si possono ammirare al Mudec di Milano, in occasione della retrospettiva a lei dedicata, curata da Lucia Pesapane, che ha selezionato 110 opere, di cui una decina di grandi dimensioni, oltre a una serie di lavori su carta, video, vestiti della Maison Dior che ricordano anche il suo passato di modella.
Trasferitasi in America con la famiglia, Niki ebbe un’infanzia segnata da un clima familiare violento e oppressivo, e solo nell’arte trovò la cura per i suoi tormenti. Dopo un matrimonio burrascoso con lo scrittore Henry Matthews, conobbe in Svizzera Jean Tinguely, uno dei maggiori protagonisti dell’arte cinetica. La profonda affinità artistica e sentimentale tra i due li portò a condividere uno studio a Parigi. Erano gli anni Sessanta, epoca in cui realizzò i suoi primi Tiri di vernice. Si tratta di una serie di azioni durante le quali sparava su rilievi di gesso, in modo da far esplodere i sacchetti nascosti al di sotto, pieni delle più diverse sostanze: da vernici colorate a uova, a passato di pomodoro, emblema del gesto pittorico di rivalsa e liberazione dalle violenze subite.
Poco dopo nacquero le Nanas (in spagnolo “ragazzina di piccola statura”), da leggersi in chiave ironica. Con la loro “gioia di vivere” si fanno portatrici di un messaggio di sostegno alla diversità e di lotta agli stereotipi femminili. Realizzate inizialmente in tessuto e cartapesta, poi in resina colorata, le Nanas sono «la versione pop della Grande Madre dei miti arcaici - spiega la curatrice della mostra Lucia Pesapane - moderne Veneri di Willendorf dal corpo abbondante che si espande in una gravidanza cosmica».
«Le sue sculture scendono in piazza, ballano, accettano e amano le loro curve sexy e generose, sono libere», racconta Pesapane.
«Niki de Saint Phalle è oggi considerata come una delle artiste più importanti del XX secolo. Ha saputo, come pochi artisti prima, utilizzare lo schermo e i media per promuovere la sua arte e il suo impegno sociale nei confronti delle minorità e dei più fragili, malati, bambini e animali. Questa responsabilità si è tradotta in un'arte gioiosa, inclusiva, in grado di veicolare attraverso opere comprensibili e amate da tutte le generazioni un discorso attento alle diversità. L’artista fa breccia perché la sua opera parla di libertà e di diritti e ci dimostra che ribellarsi è sano, necessario, indispensabile. La sua arte ci offre un rimedio possibile contro l'ingiustizia, un conforto, è un accesso alla bellezza».
Niki de Saint Phalle è nota in Italia soprattutto per il Giardino dei Tarocchi, un grande parco realizzato insieme a Jean Tinguely a Capalbio, in Toscana. Ventidue sculture colorate, alcune delle quali monumentali e abitabili, coperte di mosaici e di ceramiche variopinte che interpretano il tema dei Tarocchi. Il parco, spiega Pesapane, è «la sua cattedrale, il suo Parc Güell, la dimostrazione che anche una donna può sognare e realizzare in grande».
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