FOTOGRAFIA
Tutti pazzi per la mobile photography
In un anno scattati quasi un triliardo e mezzo di foto

Ben 1,42 triliardi di foto in 365 giorni: a tanto ammonta il numero di immagini scattate ogni anno nel mondo con i cosiddetti “smartphone”, secondo studi piuttosto empirici per difetto proposti dal magazine di fotografia online focus.mylio. Se il dato non desta particolare impressione la si può raccontare diversamente: si può affermare che in una sola manciata di minuti sulla faccia della Terra si scattano più foto con i propri telefoni di quante l’umanità ne abbia prodotte nei primi decenni del secolo scorso. Questa invasione di campo della telefonia nel mondo della fotografia è stata in qualche modo avvantaggiata dalla nascita e crescita dei social media dove le persone mostrano lo “story telling”, la narrazione della propria vita. Di fatto, il continuo sviluppo tecnologico attuato dai produttori di punta delle telefonia ha fatto sentire un po’ tutti fotografi provocando dapprima una nota di sdegno nei puristi dell’immagine, negli stessi addetti ai lavori – editori specializzati compresi – per poi prendere coscienza che il processo è inarrestabile, tanto vale abbozzare fino a produrre guide “miracolistiche” e corsi pratici per far sentire utenti di un telefono veri e propri fotografi provetti. Non tutto è male, non tutto è bene. Certo, è innegabile che è sorto un filone commerciale vero e proprio, quello della “mobile-photography” (ma quanto anglicismi per spiegare il fenomeno) una sorta di “mammella” alla quale sta tettando una lunga filiera commerciale che va dal produttore di telefoni fino al fotografo professionista “convertito”, o bisognoso di guadagni, che studia corsi appropriati. Perché poi, anche questo va detto, i grandi marchi della telefonia, dell’informatica, hanno fatto passi da gigante producendo “macchine-telefoni” in grado di produrre stampe in ottima qualità anche di grandi dimensioni con una serie di vantaggi: sta nel taschino, non attira l’attenzione nelle occasioni “street” in cui è necessario rubare uno scatto, hanno ormai una messa a fuoco e funzioni zoom e grandandolari di buona fattura scattando anche in condizioni di poca luce. Gli svantaggi, chiaramente, attengono più alla sfera professionale, forse meno comprensibili nel guardare la foto su monitor per chi non è del mestiere. Già, gli scatti sul monitor: questa è un’altra delle riflessioni che il massiccio bombardamento di immagini prodotte ha aperto e che non vale solo per i telefonini, va precisato. Si scattano miliardi di immagini da vedere all’interno di supporti, ma non si stampano più fotografie, un problema di grande valore storico-sociale. Immagini e fotografie: sono molti i saggi che in questi anni hanno trattato l’argomento della frammentazione dello sguardo collettivo in miliardi di testimonianze visive quotidianamente prodotte, condivise e dimenticate, appunto, perché non stampate o possedute realmente. Chi non ricorda la passeggiata sulle strisce pedonali dei Beatles ad Abbey Road scattata nell’agosto del 1969? E l’immagine degli undici operai americani che consumano il pranzo a 250 metri d’altezza seduti sopra una trave mentre costruiscono il Rockefeller center di New York nel 1932? L’uomo con due sacchetti di plastica davanti alla colonna di carrarmato in Piazza Tienanmen nel 1989? L’immagine del Che a l’Havana, le Torri Gemelle e si potrebbe proseguire. Nessuna di queste è passata sui telefoni cellulari eppure il loro impatto, la loro forza comunicativa è immutata pur senza l’amplificatore elettronico grazie, indiscutibilmente, alla mente di un fotografo. È un po’ come la differenza fra un selfie e un autoritratto: il primo è un’immagine, il secondo, oltre che un ricordo, è soprattutto una prova della nostra creatività. Ma perché un ritratto sia un ritratto e non un selfie deve poter reggere alla prova di stampa. Tutti scattiamo, non tutti siamo fotografi.
Simone Della Ripa
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