LA MOSTRA
Saul Leiter e i frammenti di possibilità infinite
Alla Reggia di Monza centinaia di foto, dipinti e materiali d'archivio

«Mi capita di credere nella bellezza delle cose semplici. Credo che la cosa meno interessante possa essere molto interessante»: è una dichiarazione di poetica, questa affermazione di Saul Leiter (1923-2013), fotografo (e pittore) geniale che ha saputo cogliere la bellezza nascosta nella quotidianità. Originario di Pittsburgh, figlio di un noto studioso di teologia ebreo, la sua famiglia aveva grandi speranze per un futuro che seguisse le orme paterne; tuttavia, a 23 anni Leiter abbandonò la scuola di teologia e si trasferì nell’East Village di Manhattan dove iniziò frequentare la scuola d’arte. Sviluppò presto un interesse per la pittura e fu fortunato a incontrare il pittore espressionista astratto Richard Pousette-Dart che lo incoraggiò a dedicarsi alla fotografia. Presto iniziò a scattare in bianco e nero con una Leica 35mm. Fu uno dei primi maestri ad appassionarsi all’uso del colore, fotografando le strade che circondavano la sua casa di Manhattan. Mentre i colleghi consideravano il colore volgare o commerciale, Leiter lo ha trasformato in elemento espressivo, usando pellicole e obiettivi al posto di pennelli e sfumature di colore, trattando ogni fotogramma come una tela. Noto per lo più come fotografo di moda – collaborò con pubblicazioni come Elle e Harper's Bazaar - fino a tempi relativamente recenti era poco conosciuto al mondo dell'arte, anche per il carattere schivo, refrattario alla fama. Cinque anni dopo la sua morte son stati ritrovati numerosi negativi mai stampati, come a celare l’aspetto più intimo e puramente artistico della sua produzione. Finalmente al Belvedere della Reggia di Monza è stata inaugurata la prima grande retrospettiva italiana dedicata al suo lavoro: Una finestra punteggiata di gocce di pioggia, prodotta da Vertigo Syndrome in collaborazione con diChroma photography e con la curatela di Anne Morin, presenta il suo lavoro attraverso 126 fotografie in bianco e nero, 40 fotografie a colori, 42 dipinti e rari materiali d’archivio, come riviste d’epoca originali e un documento filmico. «La mostra – racconta la curatrice - che include sia stampe vintage che moderne, primi lavori sperimentali e fotografie di moda realizzate durante le sue collaborazioni con Harper’s Bazaar, rivela con evidenza cosa distingue nettamente Saul Leiter dai suoi contemporanei e perché la sua opera continui a influenzare la fotografia di oggi». «Non ho una filosofia. Ho una macchina fotografica - diceva Leiter. Guardo attraverso la macchina fotografica e scatto foto. Le mie fotografie sono la minima parte di ciò che vedo che potrebbe essere fotografato. Sono frammenti di possibilità infinite». Il suo sguardo spiava la vita da finestre, finestrini, pertugi, vetri appannati e rigati dalla pioggia, trasformando momenti quotidiani in composizioni liriche e intimiste, trovando poesia nel vapore che sale dai tombini, negli ombrelli sotto la pioggia e nei riflessi delle vetrine. Le sue immagini, scrive la curatrice, «durano quanto il battito di un ciglio, posizionate sul bordo di qualcosa. Sono istantanee, forme brevi, frammentate, come annotazioni, dichiarazioni di realtà, realizzate con una maestria e una metrica che ricorda gli haiku. Il gesto di Leiter è quello di un calligrafo», capace di trovare poesia nell’ordine nascosto delle cose minime.
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