CAMBIAMENTO
Techno: il sound della rivoluzione underground
Da essere considerata musica degli sbandati o edonisti a patrimonio culturale immateriale Unesco

Che da tempo suoni e fonogrammi possano e debbano essere parte di una ricchezza intangibile ma comunitaria è cosa assodata, si potrebbe dire pacifica. Ma fino a pochissime settimane fa tali considerazioni non erano mai valse per la musica elettronica. Pregiudizio, ignoranza? Di certo l’Unesco ha fatto la storia dei beni culturali inserendo la scena techno di Berlino all’interno del patrimonio immateriale per l’umanità. L’identità clubbing della capitale tedesca si trova riconosciuta così di un valore inestimabile, che comporta la salvaguardia di una delle tradizioni sonore cittadine più appassionanti e appassionate.
L’iniziativa è nata dall’impegno di Clubcommission, un vivace network che mette in relazione locali berlinesi, musicisti e promotori culturali con l’intento di valorizzare il patrimonio elettronico che ha reso la città una sorta di Mecca per gli amanti dei dj set notturni. Due anni fa, gli agitatori della poliedrica rete avevano presentato domanda apposita proprio all’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, che dopo un iter neanche troppo accidentato ha investito ufficialmente la techno del ruolo di elemento cardine per la costituzione della vita musicale e soprattutto culturale della Germania. Già, non si parla esclusivamente di componente sonora, infatti. La techno è stata premiata dall’Unesco grazie a pratiche e caratteristiche sue proprie che vanno nel senso del rispetto e della valorizzazione delle diversità, della collaborazione e della solidarietà, della consapevolezza e dell’innovazione artistica.
Non è semplicemente una musica “piacevole” legata a un luogo preciso e apparentemente standardizzato come la discoteca. La scena berlinese riscopre e rivaluta sedi urbane industrializzate spesso in disuso e decadenza, che vengono animate dalle ore insonni dei rave. A questi convegni partecipano avventori di ogni genere, razza ed età senza discriminazioni di sorta. Non a caso, come ha notato il produttore di musica elettronica e parte in causa della vicenda Peter Kirn, nel corso dei decenni gli spazi della techno sono diventati i rifugi delle fasce meno protette della comunità, ragazze e ragazzi emarginati a cui è stato fornito un centro di interscambio, relazioni e aggregazioni.
Di qui la decisione dell’Unesco di accettare la tesi secondo cui ad appartenere al patrimonio mondiale immateriale sono anche tutti i club, i rave party, i sound system e le street parade che contraddistinguono ancora oggi le vie che ravvivano la notte di Berlino. La battaglia per il riconoscimento presso l’Organizzazione ha in realtà gambe ben più lunghe. Tra gli animatori di Clubcommission c’è infatti soprattutto Hans Cousto, matematico e musicologo che fu il primo, nel 2014, a lanciare una campagna in favore della techno come patrimonio dell’umanità.
Un sogno rimasto nel cassetto per addirittura otto anni e che ne è saltato fuori una volta che Cousto, l’ideatore della LoveParade, la prima e più autorevole manifestazione techno per strade cittadine al mondo, ha deciso di far il grande passo e contattare l’Unesco. In questa coraggiosa avventura è stato coadiuvato da Dr. Motte, storico disc-jockey della pulsante cultura techno-rave tedesca, e dal team dell’organizzazione no profit Rave The Planet, le cui feste elettroniche sono note per ospitare fino a 300mila partecipanti a nottata.
Se non fosse stato ancora chiaro ai più, la techno, insomma, non può essere considerata come la musica degli sbandati o degli edonisti. È una miscela complessa e ipnotica che genera significato, allaccia interazioni, immagina possibili futuri.
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