IL CASO
Binda e ingiusta detenzione: resta lo scontro
Udienza davanti alla Corte d’appello di Milano. La Procura: «C’erano i presupposti». I legali dell’accusato e poi assolto per il delitto Macchi: «No, indennizzo»
Udienza bis, oggi. venerdì 21 giugno, davanti ai giudici della quinta Corte d’Appello di Milano, per decidere in ordine alla richiesta presentata dagli avvocati di Stefano Binda di equo indennizzo a seguito di ingiusta detenzione da lui patita.
La discussione tra le parti si è risolta in una decina di minuti.
Laura Gay, sostituto procuratore generale, riportandosi ad una memoria, ha ribadito la fondatezza dei presupposti alla base dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Varese che portò all’arresto del brebbiese all’alba del 15 gennaio 2016.
Di avviso opposto e contrario l’avvocato Patrizia Esposito, accompagnata in aula dal codifensore Sergio Martelli: sostengono che fu sbagliato emettere la misura cautelare, così come mantenerla in vita per oltre tre anni e mezzo.
Da qui la nuova richiesta di indennizzo per ingiusta detenzione. Indennizzo a titolo di riparazione quantificato in 303mila euro. Una somma ricavata moltiplicando la cifra standard di 235,87 euro per i 1286 giorni trascorsi in carcere dall’allora indagato e poi imputato per l’omicidio della ventenne studentessa universitaria di Casbeno Lidia Macchi, conosciuta ai tempi del Liceo Cairoli e della comune frequentazione degli ambienti di Comunione e Liberazione. Imputazione da cui è stato assolto in via definitiva.
Una precedente istanza fu accolta dalla Corte d’Appello ambrosiana, ma in seguito l’ordinanza fu annullata da una sentenza della Corte di Cassazione che dispose a sua volta di rinviare il fascicolo a Milano.
Oggi il collegio presieduto dal giudice Roberto Arnaldi ha scelto di decidere in un momento successivo.
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