CASO ULTRAS
I diffidati non ci stanno: ricorso contro i Daspo
«Provvedimenti ingiusti»: i 23 si difendono

Soffrivano ieri pomeriggio all’idea di non poter assistere al match decisivo della Pro Patria sul campo di Vercelli. Ma i ventitré ultras colpiti dal daspo, che proprio il questore di quel capoluogo piemontese ha emesso, non intendono restare banditi dagli stadi ancora a lungo, poco importa che la squadra sia retrocessa in serie D. Nei giorni scorsi si sono rivolti in blocco all’avvocato Fausto Moscatelli con una richiesta: ottenere l’annullamento del divieto a partecipare alle manifestazioni sportive. Parte così l’iter dell’impugnazione. Per i tifosi sottoposti a obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria il legale ricorrerà per cassazione, per gli altri sono al vaglio le due opzioni, ossia la strada del Tar o quella del ricorso gerarchico al prefetto.
VERCELLESI TURBATI
Provvedimenti ingiusti, questa la sintesi della linea difensiva. «Dalle foto allegate agli atti si vede solo un corteo che dalla stazione si dirige allo stadio con una bandiera, intonando cori», spiega l’avvocato. Nessun atto vandalico né danneggiamenti, nemmeno l’ombra di una minaccia e tanto meno gesti di violenza, sostengono i diffidati. Eppure la sfilata biancoblù del 12 aprile aveva turbato la quiete cittadina. Anzi, stando alla ricostruzione che la questura ha fatto di quel sabato pomeriggio, gli agenti sarebbero intervenuti con fermezza per interrompere «azioni improntate all’illegalità», che avrebbero pregiudicato l’ordine e la sicurezza pubblica, cardini ancor più suggestivi se evocati all’ombra del littorio stadio Piola.
SOTTO LA BANDIERA
Secondo la digos però gli ultras tigrotti erano arrivati a Vercelli con modalità diverse da quelle comunicate alla questura e agli occhi della polizia c’è solo una spiegazione per la variazione di programma: eludere i controlli delle forze dell’ordine. Si sarebbero poi radunati dalle parti di un bar per munirsi di bastoni camuffati da bandiere portate da casa da tifosi partiti in macchina e a quel punto avrebbero iniziato la sfilata non autorizzata e accompagnata dai cori che in tempi non così remoti erano considerati goliardici. Per gli agenti i ventitré bustocchi in trasferta erano in cerca di pretesti per scontrarsi con gli avversari. Non riuscendo a contenerli con la dissuasione oratoria, i poliziotti dovettero frapporsi fisicamente e scortarli fino al Piola evitando l’incontro con i supporter vercellesi. Al termine della partita (chiusa con un pareggio) i biancoblù avrebbero ripercorso la strada verso la stazione con gli stessi atteggiamenti provocatori, mettendo così gli agenti nelle condizioni di scortarli ancora attendendo la partenza del loro treno diretto a Magenta.
INDIVIDUATI DAI FILMATI
A quel punto gli investigatori si sono tuffati nella visione dei filmati della scientifica e delle telecamere, comprese quelle degli scali ferroviari. Grazie alla collaborazione del commissariato di Busto alla fine sono risaliti a ventitré nomi e ventitré volti, due dei quali minorenni. I daspo hanno una durata variabile da uno a cinque anni, a seconda della gravità dalle condotte contestate e di eventuali precedenti. Diciotto di loro sono stati denunciati per possesso di oggetti atti a offendere, ossia i bastoni lunghi circa 80 centimetri realizzati con tubi di plastica rigida, tipo quelli per impianti idraulici, attorno ai quali avevano avvolto i drappi di stoffa e i fumogeni abbandonati lungo il tragitto a piedi. Ma gli ultras respingono ogni addebito. E di trascorrere un’altra giornata a tifare davanti alla televisione non hanno alcuna intenzione.
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