IN TRIBUNALE
Bossi junior perdonato dalla madre. Ma il processo continua
L'uomo è accusato di maltrattamenti in famiglia: sentenza a giugno

Una testimonianza breve, ma importante, quella resa l’altro giorno nella penultima udienza del processo a carico di Riccardo Bossi, figlio del fondatore della Lega, accusato di maltrattamenti nei confronti della madre, Gigliola Guidali. La donna, prima moglie di Umberto Bossi, è finalmente arrivata in aula, dopo che in precedenza – nel novembre scorso – non si era presentata. Il suo esame davanti al giudice Rossana Basile è durato pochi minuti: «Con mio figlio ci siamo riappacificati, ora abbiamo un rapporto sereno», ha dichiarato. Un cambiamento radicale rispetto al clima descritto nella denuncia iniziale, presentata per fatti risalenti al 2016-2017, quando madre e figlio vivevano insieme ad Azzate.
Già mesi fa, Guidali aveva ritirato la querela nei confronti del figlio, fatto che aveva comportato il proscioglimento di Riccardo Bossi dall’accusa di minacce. Tuttavia, per il reato di maltrattamenti in famiglia si procede d’ufficio, e il processo ha dunque continuato il suo corso. A Bossi, 45 anni, vengono contestate offese e continue richieste di denaro alla madre, culminate – secondo l’accusa – in episodi di violenza, come quello in cui la donna sarebbe stata spinta contro un muro, o in pressanti messaggi per ottenere contanti, con la minaccia di vendere beni familiari.
Nonostante la gravità dei capi d’imputazione, la comparsa della madre in aula e la sua dichiarazione di ritrovata serenità nei rapporti con il figlio potrebbero influenzare il giudizio finale. Riccardo Bossi, difeso dall’avvocato Federico Morgante, ha sempre respinto ogni addebito e punta a dimostrare la propria innocenza. La discussione finale è fissata per il 18 giugno: in quella data accusa e difesa esporranno le rispettive tesi, e subito dopo il giudice si ritirerà in camera di consiglio per la sentenza.
A BUSTO LA CONDANNA PER TRUFFA AI DANNI DELLO STATO
Lo scorso gennaio Riccardo Bossi è stato condannato in primo grado dal gup Veronica Giacoia del Tribunale di Busto Arsizio per truffa aggravata ai danni dell’Inps, in relazione a una presunta indebita percezione del reddito di cittadinanza: due anni e sei mesi la pena, sessanta giorni in più di quelli chiesti al termine della requisitoria dal pubblico ministero Nadia Calcaterra. Soddisfatto per quel verdetto l’avvocato di parte civile Grazia Guerra, difensore dell’Inps: l’imputato dovrà infatti risarcire all’istituto 34mila euro per danni patrimoniali e 15mila euro per quelli di immagine.
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