MUSEO DELLE CULTURE
Satira e denuncia nell’arte di Branquinho

È giovane, Filipe Branquinho (Maputo, Mozambico, 1977), ma è riconosciuto a livello internazionale come una delle voci più autorevoli, lucide e dissacranti dell’arte africana.
L’ARTE DI FILIPE BRANQUINHO
I suoi lavori, che combinano tradizione e modernità, sono attraversati da un tocco di umorismo e caratterizzati da uno spiccato senso per la satira che l’artista utilizza come strategia per portare alla luce i valori e le contraddizioni del suo Paese. La sua personale allestita al Musec - Museo delle Culture di Lugano, a cura di Kristian Khachatourian e Lidija Kostic Khachatourian, presenta una trentina di opere di grandi dimensioni (tecniche miste su carta cotone e fotografie) e conferma il valore della sua ricerca, riflesso di una vita vissuta in piena guerra civile (durata dal 1976 al 1992) che ha devastato il suo Paese.
«UN LAVORO MOLTO PROFONDO»
Come racconta Lidija Kostic Khachatourian, «il lavoro di Filipe è molto profondo, scava nel cuore della cultura, della politica, dei modi di vivere del Mozambico, della bellezza naturale del paese, dei costumi, della corruzione e delle sue mostruosità».
L’ESPOSIZIONE
“Lipiko”, titolo scelto per l’esposizione fa riferimento al nome del danzatore che indossa la maschera mapiko, tipica della tradizione dei Makonde, un’etnia diffusa nel Mozambico settentrionale. Branquinho utilizza le maschere come caricature per raccontare fatti e persone reali, protagonisti della società contemporanea in cui vive, si muove e che indaga. Il progetto “Lipiko” mette a nudo il vuoto socio-politico del Mozambico, e prende ispirazione dallo scandalo da oltre 2 miliardi di dollari dei cosiddetti “Tuna bond”, fondi che nel 2012 dovevano finanziare un importante progetto di sviluppo della pesca e della lavorazione del tonno a Maputo, ma che sono stati in realtà riciclati e usati per corrompere funzionari di governo, mandando in crisi l’economia del Paese.
TRA FOTOGRAFIA E PITTURA
Combinando fotografia e pittura, Branquinho realizza fantasiosi pesci colorati e personaggi di potere (politici, faccendieri, giudici o avvocati), in cui le fattezze del volto sono sostituite dalle maschere tradizionali mapiko. L’insieme dei ritratti è stata presentata nel 2019 alla Biennale di Venezia, nel Padiglione del Mozambico. “Bestiarium” è una serie di fotografie scattate in una foresta incontaminata del Mozambico tra il 2020 e il 2021, in piena pandemia. Vi sono ritratte figure umane con il volto coperto da maschere zoomorfe che, unite alla gestualità del corpo, concorrono a sottolineare l’affinità tra la natura umana e quella animale.
Quanto bestiale c’è in noi, si chiede l’artista? La critica sociale non è nell’astista fine a se stessa, ma vuole contribuire a suscitare un dibattito costruttivo. È in particolare il caso del progetto “In Gold” we Trust”, una metafora della società mozambicana, dove personaggi grotteschi vestiti con abiti fatti di dollari barattano i valori della loro cultura con prodotti dell’industria globalizzata, provocando una frattura sociale e l’allontanamento dalla propria identità culturale.
© Riproduzione Riservata