VILLA NECCHI CAMPIGLIO
Il sarto degli artisti

48-80-124-21... sono le misure di Giorgio De Chirico, vergate a mano, con scrittura elegante, sotto la lettera D di una grande rubrica fitta fitta di nomi e numeri. Le annotazioni sono di Adriano Pallini (1897-1955), il sarto degli artisti (e non solo) che ha vestito Mario Sironi, Massimo Campigli, Arturo Martini, Achille Funi, Lucio Fontana e tanti altri. All’epoca molti di loro non avrebbero potuto permettersi una giacca o un cappotto, ma Pallini si faceva pagare in modo alternativo, con una tela o un disegno. Così è nata una delle più importanti collezioni private del secolo scorso: una storia d’amore tra arte e cucito raccontata nella mostra Adriano Pallini. Una collezione di famiglia, allestita a Milano, a Villa Necchi Campiglio e curata da Paolo Campiglio, Roberto Dulio e da Nicoletta Pallini Clemente.
LA STORIA DI ADRIANO PALLINI
È proprio la figlia minore a raccontarci del padre, mentre visitiamo le sale dello scrigno progettato negli anni Trenta da Piero Portaluppi che fino a ottobre ospita una trentina di tele e sculture selezionate tra le opere della collezione. Arrivato a Milano dall’Abruzzo per seguire la famiglia, che aveva aperto un negozio in città, «avrebbe volto suonare il violino e diventare direttore d’orchestra, ma alla morte del padre ha assunto la direzione della sartoria. Ha cominciato a frequentare il mondo dell’arte, ed è nata una grande passione che ha coltivato fino alla prematura scomparsa nel 1955, a cinquant’otto anni». A un certo punto il cambio non gli è bastato e ha iniziato ad acquistare opere di Boccioni, Severini, Morandi, Modigliani, Carrà. Lo ha fatto in modo autonomo, con lo stesso gusto raffinato con cui dirigeva il suo atelier, che diventava negli anni una delle sartorie più apprezzate di Milano. «Il vestito va benissimo, il taglio è magistrale e ammirato da quelli che se ne intendono», gli scriveva Vincenzo Cardarelli nel 1938.
IL RICORDO DELLA FIGLIA
«Ero molto piccola, racconta la figlia Nicoletta, ma il ricordo della sartoria di papà è indelebile. Andavamo a prenderlo sul finire della giornata e mi piaceva molto aggirarmi in quello spazio grandissimo, che era un museo. All’ingresso erano collocati disegni e sculture, ma mi incuriosivano anche le stoffe disposte sui tavoloni, mi piacevano le forbici enormi e i registri con nomi di persone che conoscevo, i gessetti piatti, l’odore lasciato nelle stanza dal vecchio - e pesantissimo - ferro da stiro a vapore. A quei tempi non ero un grado di cogliere l’importanza dei dipinti e delle sculture disseminati ovunque, per me erano degli amici che abitavano con tutti noi quasi fossimo una grande famiglia».
«UN GIOVANE DAI MODI GENTILI»
Amico, compagno e solidale, prima ancora che mecenate, si dimostrava Pallini con gli artisti che frequentavano la sua casa e il negozio. «Non era il compratore di quadri, ricordava Corpora, ma era il nostro amico». «Come un amico da sempre, ma più nei giorni martirizzati», faceva eco De Chirico, ricordando l’aiuto ricevuto durante la guerra dalla compagna, Isabella Far, di religione ebraica. Arrivato a Milano negli anni Trenta per una mostra, l’artista di Volos si era reso conto di avere necessità di un soprabito di mezza stagione. Su consiglio di conoscenti, andò a trovare Pallini nella sartoria di via dell’Orso, «un giovane signore, dai modi gentili e gentileschi e dal sorriso affabile» fiero di mostrargli i quadri che stavano «attanati alle pareti».
PER RICORDARE PALLINI
Proprio grazie alle numerose lettere e testimonianze degli amici, artisti e non, raccolte e messe in ordine negli anni da nell’archivio di famiglia, la figlia Nicoletta ha ritrovato nel tempo il padre e la sua presenza. «Era un persona disponibile, affettuosa e generosa. Amava giocare con noi, soprattutto al mare, nella villa di Ospedaletti. Avevamo in comune la passione per gli animali, il suo ultimo regalo è stato un cucciolo di boxer. Per farmi addormentare mi faceva ballare e non mi sgridava quando andavo a cavalcioni, come fosse la groppa di un cavallo, su La Pisana di Arturo Martini, la grande scultura in bronzo che campeggiava all’ingresso della casa di Piazza San Babila». L’artista gli scriveva: «Carissimo Pallini, sarò a Milano tra qualche giorno. Ti prego di preparare i vestiti perché sono nudo. Sappi che oltre a questi nostri interessi ti amo e ti stimo e desidero la tua amicizia». Gli faceva eco il giovanissimo Lucio Fontana, che confessava «quando per la prima volta, molto giovane, avvicinai Pallini, per un cambio, più che la necessità dell’abito fu per me l’ambizione di entrare nella sua collezione».
IL RITRATTO IN TERRACOTTA
La scelta dello straordinario Ritratto in terracotta smaltata del 1938 dell’allora giovane e quasi sconosciuto artista di Rosario testimonia l’indipendenza con cui Pallini acquistava, accostando ai capolavori di artisti noti opere di giovani emergenti, da Fontana a Matta a Raciti: la sua natura morta dei primi anni Cinquanta, è «un’opera che mi commuove», ci racconta Nicoletta, «ed è tra le mie preferite, insieme ai ritratti di famiglia di Campigli, a Le figlie di Loth di Carlo Carrà (oggi al Mart di Rovereto) che mio padre regalò alla mamma quando aspettava mia sorella Adriana e al poeta Checov di Martini: quella terracotta pensosa e gentile mi ha sempre fatto pensare a mio padre, e tuttora mi intenerisce per via di quei suoi capelli un po’ più lunghi sul collo, protetto da una piccola sciarpa».
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